IL
DIVISIONISMO ITALIANO
Dal
1886, anno dell’ultima mostra impressionista,
iniziano a svilupparsi nuove tendenze nella pittura
che vanno ad indicare percorsi ancora insondati agli
artisti di tutta Europa.
Alcune di queste tendenze fanno capo alle ricerche
dei grandi pittori che vengono definiti
post-impressionisti: Cézanne, Gauguin, Van Gogh,
Seurat.
L’intento di questi artisti diventa man mano
quello di cercare nuove metodologie di costruzione
dell’immagine che vadano al di là della presa di
coscienza del dato naturale. In
ambito italiano si ricollegano al pointillisme di
Seurat e Signac le esperienze di alcuni artisti che
partecipano all’Esposizione Triennale di Brera nel
1891.
Pur non esistendo all’interno dell’Esposizione
alcun intento rivoluzionario, si delineano già con
forza le nuove direzioni di ricerca nello stile e
nelle tecniche.
Le opere di Gaetano Previati e di Giovanni
Segantini rivelano questo nuovo atteggiamento.
Grande scalpore viene suscitato dai lavori di
Previati che, tramite la tecnica della divisione del
colore a pennellate rapide e allungate, prova a
rendere ancora più evidenti i contenuti simbolici
delle proprie rappresentazioni.
Si tratta di una pittura nuova in Italia, di
difficile fruibilità, dove le forme e i colori
diventano segni funzionali ad esprimere l’idea
complessiva dell’immagine. Divisionismo
e pittura sociale si sviluppano di pari passo: tra
gli artisti di questa nuova tendenza è possibile
identificare anche Emilio Longoni, Angelo
Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo,
Plinio Novellini e tutti si concentrano
sull’uso dei colori e sulla tecnica di stesura,
prediligendo un’accurata attenzione alla resa
degli effetti luminosi. Morbelli
diventa interprete dei temi di denuncia sociale
dell’Italia post-unitaria, analizzando soprattutto
la realtà del lavoro nei campi e le condizioni di
disagio degli anziani. Segantini
adotta la tecnica del divisionismo, ricercando una
luminosità intensa, calda e totalmente innovativa
nell’esperienza pittorica italiana. I temi da lui
trattati hanno a che fare con soggetti alpini e
contadini che assumono via via un carattere
allegorico e simbolico (si ricordino Le due madri,
1889, e Ave Maria a trasbordo, 1886). Giuseppe
Pellizza da Volpedo applica puntualmente i
principi della scomposizione della luce grazie
all’uso di punti e linee brevi su opere di formati
e temi diversi, oscillando tra una propensione al
simbolismo ed al realismo sociale. Tra le sue opere
famosissimo Il Quarto Stato, 1896-1902, che
destò grande scalpore.
(da
artway.it)
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